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A mio modo di vedere e di operare l’arte ha a che fare con l’estetica, Scientia Cognitionis Sensitivae, un approccio emozionale alla conoscenza attraverso il coinvolgimento dei sensi, contrariamente all’approccio logico intellettuale del pensiero razionale.
L’emozione nasce sicuramente dal confronto con la bellezza, inteso come riconoscimento visivo di una serie di canoni sedimentati, ma ancor più intensa e seduttiva è quando il confronto con l’immagine genera una sorta di vertigine interiore, un coinvolgimento personale e misterioso capace di sospendere la nostra adesione al “principio di realtà”.
Questo gioco di fascinazione e di evocazione è efficace quanto più la percezione dell’opera è invece diretta, quanto più cioè la sua fruizione comporti un ridotto processo d’astrazione tra ciò che si vede rappresentato e ciò che comunemente si percepisce come reale.
La rappresentazione a tal fine, perde quella natura teatrale e artificiosa subordinata alla resa naturalistica e si produce in forme assolute ed autonome, riscattandosi al contempo dalla banalità degli oggetti per la sua presenza identitaria autonoma di manufatto artistico, trasposizione materica dell’animo umano.
L’opera diviene archetipo, modello originario e ideale delle cose sensibili.

Da queste riflessioni nasce la mia scelta di lavorare su soggetti autoreferenziali, cioè che non vogliono rappresentare altro al di fuori di ciò che sono e la vocazione alla scultura, nello specifico alla statuaria, come forma espressiva maggiormente idonea a dare all’idea una presenza fisica.
Il feticcio, soggetto centrale del mio lavoro, non vuole rappresentare ma essere il risultato concreto dell’aggregazione volontaria di uno o più materiali, al fine di dar forma a tutte quelle associazioni emotive che sento ad esso appartenere.
Il bambolotto-idolo, l’animale di pezza o gonfiabile, tradotti nei materiali della scultura o trasposti nello spazio metafisico del disegno, affiorano al pensiero come contenitori affettivi di uno stato primitivo infantile originario, in cui il tepore del regresso emotivo al tempo del gioco convive con il mistero primordiale della raffigurazione ieratica.
La pratica dell’arte si assimila alla sua più arcaica forma di magica religio, attraverso la proiezione simbolica di un immaginario ludico-totemico, in cui semplicità e purezza, trasposti formalmente nella sintetica presenza plastica ed emotivamente nella sublimazione del giocattolo, si stratificano con la profonda ed inconscia carica inquieta che caratterizza l’animo umano.


Luca Lanzi